A pagina 17 su un terzo di pagina, non importa di quale
giornale, meno importante perfino di “Curcio che filosofeggia anche su
Rostagno”, l'articolo che occupa gli altri due terzi dello stesso spazio, la
notizia di due fratellini di 8 e 12 anni uccisi dal padre. In realtà non fa
nemmeno notizia.
Può sembrare un fatto di cronaca nera: un padre malato di
mente, una disgrazia, fa parte della vita...
Ma le cose, viste da vicino, non stanno così e non solo
in questo caso.
Il sindaco della cittadina in cui si era rifugiata la
mamma dei piccoli, dopo avere lasciato il marito violento, mette giustamente in
rilievo: “Un uomo ha scaricato la sua insensata rabbia sui figli, uccidendoli
senza alcuna pietà. Due vittime innocenti che hanno pagato con la vita
dissidi e tensioni familiari” (Il Fatto
Quotidiano, giovedì 8 novembre). E aggiunge “In questo caso non si può
certo parlare di emarginazione sociale.” perché la mamma con i due piccoli era
stata accolta bene nel nuovo Comune ed era bene inserita anche in quello
precedente.
Appunto la rabbia cieca, la violenza; ma anche gli abusi,
i maltrattamenti, gli sfruttamenti nascono da dissidi e tensioni familiari e si
scaricano sempre sui più deboli: i figli.
Sappiamo che spesso, spessissimo i genitori non sono e
non riescono ad essere consapevoli di ciò che fanno. Negli ultimi trent'anni
qualcosa è certamente cambiato, a cominciare dalla legge sull'adozione, che
prima metteva al centro gli interessi degli adulti che volevano lasciare una
eredità e invece con la legge 184 ha messo al centro il bambino con le sue
necessità. In questi trent'anni l'idea che i figli sono una proprietà dei
genitori ha iniziato a modificarsi; ma non ci rallegriamo troppo.
La strada è ancora lunga e alcune leggi che tutti
ritengono “avanzate e civili”, e come tali vengono evocate e richieste, in
realtà nascondono ancora in modo sottile e, speriamo,
inconsapevole, bisogni e necessità esclusivamente
degli adulti.
Per essere più chiara mi riferisco alla richiesta sempre
più forte di concedere l'adozione alle coppie gay/lesbiche, oppure alle
pratiche di inseminazione cui tanti, di
ogni età, ricorrono per avere figli non riuscendoci “naturalmente”.
Viene dovunque sbandierato tutto questo come un “diritto”
a diventare genitori; ma
quasi mai si sente parlare invece di un dovere di essere genitori adeguati
a cui i bambini hanno, loro sì, diritto.
In realtà: di quale diritto stiamo parlando? Diventare
genitori non è un diritto, bensì una condizione in cui ci si può trovare e che
si può scegliere. Appunto gli adulti
possono scegliere se diventare genitori o no. I bambini non scelgono.
Certo credo che tutti abbiano diritto di scegliere se
diventare genitori; ma prima di tutto, come in molte altre situazioni, per fare
questa scelta è indispensabile almeno interrogarsi e forse un po' verificare
cosa essa comporti e quanto sia davvero alla nostra portata. Dunque chiedersi a cosa ha diritto un
bambino che viene messo al mondo e scoprire se siamo e vogliamo essere in grado
di offrirglielo.
Perché per diventare guida alpina, pilota di aereo, anche
solo insegnante, cioè condizioni in cui
si incide o si ha qualche responsabilità nella vita altrui, ci si deve preparare e spesso superare giustamente esami
o controlli; mentre, al contrario, a chi vuole mettere al mondo un figlio o
prendersene cura non deve essere chiesto niente, ma solo concesso un diritto:
come se si trattasse di acquisire beni o oggetti di esclusivo uso e proprietà
personale …
Ci scandalizziamo spesso quando ricordiamo il pater familiae con diritto di vita e di
morte sui figli; ci sembra che in quella società così avanzata questo fosse un
retaggio di inciviltà. Siamo tuttavia sicuri di essere così lontani da quel
modo di pensare se riteniamo che i figli siano un diritto e se non vogliamo
accorgerci che tutte le tensioni, le rabbie, le consapevoli e inconsapevoli
difficoltà coniugali e familiari finiscono per ricadere direttamente e
indirettamente proprio su di loro?
Milano, 13 novembre 2012 Donatella Fiocchi
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