sabato 3 novembre 2012

“E' colpa mia se...”: ma di chi è la colpa?

L'aria un po' umida del primo autunno fa tirare su il bavero della giacca e rende piacevole il tepore “umano” dell'autobus.
Salgo di fretta prima che riparta veloce e mi trovo stretta nel piccolo spazio fra gente che va al lavoro, insegnanti, domestiche, qualche impiegato, e ragazzi con gli occhi ancora assonnati che trascinano gli zainetti.
Sono assorta nei miei pensieri: cosa mi riserva la giornata, chi devo incontrare per primo... sono ancora immersa nell'atmosfera di casa, adesso ovattata e silenziosa perché i figli hanno ormai spiccato il volo.
E' colpa mia se ...” il timbro duro ma sofferto di una voce al mio fianco oltrepassa la cortina dell'isolamento in cui ancora mi rifugiavo, forse anche perché quel tono e quelle parole costituiscono spesso per me una allerta speciale.
Di fianco a me, la nuca leggermente china, le spalle insaccate in un giaccone per contrastare i primi freddi, metto a fuoco una figuretta un po' informe che solo per il taglio corto dei capelli, la statura come la mia (non sono troppo alta!) un senso quasi rassegnato che emana da tutto il corpo individuo come quella di un ragazzino di 11 o 12 anni circa.
Al di sopra della sua spalla emerge la testa di una donna; difficile darle una età: capelli scuri tagliati corti, viso giovanile ma un po' sciupato, l'espressione dura, gli occhi severi; la madre suppongo.
Il suo rimprovero aspro continua incurante di chi sta attorno: “ ...è colpa mia se non ti svegli al mattino, è colpa mia se ci metti un secolo a fare colazione, è colpa mia se non ti sai vestire, è colpa mia se ti devo accompagnare ...” non seguo l'elenco delle colpe, incalzante e senza via d'uscita, ma penso all'intervento educativo che si sta svolgendo davanti ai miei occhi.
Penso a quanto deve essere esasperata quella madre ma anche a come è difficile avere 11 anni e uscire dall'infanzia. I miei pensieri si allontanano vagando nel tempo richiamati da un tono che forse mi suona familiare ... e poi non sono ancora in studio e non voglio entrare in storie altrui. 
Mi appare il viso ancora da bambino di mio figlio che timidamente si misurava col mondo “senza protezione”, vedo gli occhi increduli e sperduti del secondo, molto più in difficoltà...
Le “colpe” che continuano a snocciolarsi incessanti al mio fianco mi riportano a ...ma l'autobus si ferma. Siamo di fronte a una scuola, madre e figlio scendono portandosi via anche tutti quei suoni così acuti e pungenti su cui le porte si richiudono riportando il silenzio.
Li seguo con gli occhi, come a dare loro un saluto: sono entrati un po' nella mia vita. D’un tratto la madre, quasi con un gesto riflesso e sempre rovesciando sul figlio parole per me ormai senza suono, toglie dalle mani del ragazzo - che lo avevano trasportato fino a quel momento - lo zaino a rotelle carico di libri e insieme si avviano verso il portone d’ingresso.
Chissà certe volte non ci accorgiamo....

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