L'aria
un po' umida del primo autunno fa tirare su il bavero della giacca e
rende piacevole il tepore “umano” dell'autobus.
Salgo
di fretta prima che riparta veloce e mi trovo stretta nel piccolo
spazio fra gente che va al lavoro, insegnanti, domestiche, qualche
impiegato, e ragazzi con gli occhi ancora assonnati che trascinano
gli zainetti.
Sono
assorta nei miei pensieri: cosa mi riserva la giornata, chi devo
incontrare per primo... sono ancora immersa nell'atmosfera di casa,
adesso ovattata e silenziosa perché i figli hanno ormai spiccato il
volo.
“E'
colpa mia se ...” il timbro duro ma sofferto di una voce al mio
fianco oltrepassa la cortina dell'isolamento in cui ancora mi
rifugiavo, forse anche perché quel tono e quelle parole
costituiscono spesso per me una allerta speciale.
Di
fianco a me, la nuca leggermente china, le spalle insaccate in un
giaccone per contrastare i primi freddi, metto a fuoco una figuretta
un po' informe che solo per il taglio corto dei capelli, la statura
come la mia (non sono troppo alta!) un senso quasi rassegnato che
emana da tutto il corpo individuo come quella di un ragazzino di 11 o
12 anni circa.
Al
di sopra della sua spalla emerge la testa di una donna; difficile
darle una età: capelli scuri tagliati corti, viso giovanile ma un
po' sciupato, l'espressione dura, gli occhi severi; la madre
suppongo.
Il
suo rimprovero aspro continua incurante di chi sta attorno: “ ...è
colpa mia se non ti svegli al mattino, è colpa mia se ci metti un
secolo a fare colazione, è colpa mia se non ti sai vestire, è colpa
mia se ti devo accompagnare ...” non seguo l'elenco delle colpe,
incalzante e senza via d'uscita, ma penso all'intervento educativo
che si sta svolgendo davanti ai miei occhi.
Penso
a quanto deve essere esasperata quella madre ma anche a come è
difficile avere 11 anni e uscire dall'infanzia. I miei pensieri
si allontanano vagando nel tempo richiamati da un tono che forse mi suona familiare ... e
poi non sono ancora in studio e non voglio entrare in storie altrui.
Mi appare il viso ancora da bambino di mio figlio che timidamente si
misurava col mondo “senza protezione”, vedo gli occhi increduli e
sperduti del secondo, molto più in difficoltà...
Le
“colpe” che continuano a snocciolarsi incessanti al mio fianco mi
riportano a ...ma l'autobus si ferma. Siamo di fronte a una scuola,
madre e figlio scendono portandosi via anche tutti quei suoni così
acuti e pungenti su cui le porte si richiudono riportando il
silenzio.
Li
seguo con gli occhi, come a dare loro un saluto: sono entrati un po'
nella mia vita. D’un tratto la madre, quasi con un gesto riflesso e
sempre rovesciando sul figlio parole per me ormai senza suono, toglie
dalle mani del ragazzo - che lo avevano trasportato fino a quel
momento - lo zaino a rotelle carico di libri e insieme si avviano
verso il portone d’ingresso.
Chissà certe
volte non ci accorgiamo....
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